tracce di magia: Hierbamala
di Arshad Moscogiuri, aprile 2007 - pubblicato sulla rivista "Rastasnob"
Se siete tra coloro che quando vanno al mare scelgono stabilimenti, ombrelloni e lettini, camminano evitando la sabbia e tengono canottiera e ciabattine fino a riva - ebbene non comprate questo disco. Forse vi piacerebbe, ma probabilmente non lo capireste. Se invece di solito non tenete su i calzini quando fate l’amore, allora metterete “Magia” degli Hierbamala tra i vostri album preferiti. Quelli cioè che ogni volta che li ascoltate scoprite qualcosa di nuovo, parte del testo si rivela, venite presi da armonie che non avevate percepito, sempre sorpresi da quella varietà che fluttua tra gli stili e i ritmi senza mai perdere omogeneità. Fanno divertire, muovere e commuovere, sognare, prendere coscienza, saltare, dondolare. Uno di quei dischi nei quali le parole se non fossero canzoni sarebbero poesie, e se la musica non avesse parole resterebbe musica. Prodotto per amanti, non per consumatori: ha bisogno dei tuoi sensi aperti.
Definire il genere degli Hierbamala potrebbe essere molto semplice: sicuramente reggae, certamente ska, indubbiamente patchanka, un po’ balcanico con qualche sospetto rock steady. Ma sono solo i punti di riferimento d’emergenza di fronte a qualcosa che differisce, qualcosa capace di passare elegantemente attraverso tutti questi stili e spingersi oltre, mantenendo lo stesso feeling, la stessa Magia. La sintesi di diversi generi si è unita alla profondità creativa, ed ha finito per coniare uno stile a sè. Apprezzabile per la sua armonia d’insieme, piuttosto che riconoscibile per qualche forzatura di facile richiamo. Hierbastyle.
Il suono qui è suono, non sono stati cercati effetti speciali ne’ compromessi commerciali, ed è ottimo, vero. Merito anche del tecnico Kiri, giovanissimo astro del settore che ha già al suo attivo importanti collaborazioni internazionali (Youssu‘n Dour a Dakar, per esempio). Ma merito soprattutto degli Hierba, che sanno suonare bene e dal vivo sono esplosivi. Chitarre e voce principale sono di Hierba Pindi (il prefisso Hierba vale per tutti i nomi), H. Cesco basso e voce, H. Patrick keyboards e voce; la sezione ritmica vede alla batteria H. Alba e alle percussioni Hierba Tambo, puro cuore Rasta.
Il nuovo cd è pieno di cameo. Da riascoltare come si rilegge un buon fumetto, per scoprire un riferimento nascosto, un riff accennato, metafore e doppi sensi, o qualche citazione abilmente incastonata nelle liriche - come gli Area nella bella “Clan de Gajet”, che apre giustamente l’album.
Giustamente perché la formazione iniziale con la quale Carlo Sandrin (cioè Hierbapindi) si avventurò tra le sonorità patchanka si chiamava proprio “Clan de Gajet-Popular Muzik”, e risale al 1993. Il front-man degli Hierba non era però ai suoi esordi, anzi: già una decina di anni prima aveva fondato i Running Stream, gruppo cult dello Psycho Garage, con i quali lascia due album. Mietono un successo di critica, che li porterà nell’87 in un tour europeo assieme a band come i Miracle Workers, e infine al Fabrik di Amburgo, concerto che coronerà e concluderà la loro carriera.
Nel 1997 Sandrin incontra Tambo, Patrick e il primo bassista, Abivan: nascono gli Hierbamala. In questi dieci anni producono un primo album, Ora d’aria a Babylon, partecipano alla compilation Italian Reggae Summer, cambiano qualche elemento. Quindi il fortunato singolo “Vendi Fumo”; esce l’anno scorso, diventa una sigla a Radio Popolare, ed è riproposto anche in questo ultimo album: Magia.
Sulle undici tracce che lo compongono, troviamo due cover, o meglio due tributi: agli Stooges con “No Fun” e a Bob Marley, “Redemption Song”. Per il resto, i testi sono tutti di Carlo Sandrin, che firma anche le musiche assieme a Francesco Marchese, ovvero Hierbacesco.
Stupisce quanto il dialetto triestino - che spunta qua e là tra i testi in italiano tradendo le origini dell’autore - somigli ritmicamente allo spagnolo, quasi si confonda tra qualche parola francese o slava, ma si possa poi anche scrivere come l’inglese per un pezzo che contiene un rap pugliese, quale l’originale “No Go Shelta” (appunto “non ho scelta” nel vernacolo giuliano).
Chiunque abbia vissuto l’esperienza descritta nella canzone, rimarrà poi toccato dalla dolcissima “Senza Kaya”, e in tutti gli altri brani continuerà a trovare la stessa verità umana, lo stesso calore e la stessa energia.
Come a piedi nudi sulla sabbia: puoi percepirne la temperatura, la profondità, la morbidezza in ogni granello mentre, senza canottiera, la luce pura del sole ti scalda la pelle e il vento la quieta di fresco, portandoti il canto delle onde ed afrori di terre lontane, al di là di chissà quale mare.